Il carovita è uguale per tutti? Le parole di Michele La Pusata

Barrafranca, 30 settembre 2022 – Le persone con SLA vivono solitamente nelle loro case, dove è possibile mantenere legami, relazioni, affetti e in queste case l’energia elettrica è una risorsa vitale. A seguito di una verifica condotta da AISLA, risulta che tra le apparecchiature elettromedicali che danno diritto al bonus elettrico non rientrino la macchina della tosse e comunicatori oculari, vedi D.M. Salute del 13 gennaio 2011. Sebbene lo stesso Decreto preveda un aggiornamento periodico dell’elenco, dal 2011 ad oggi non risulta alcuna variazione. AISLA ha richiesto al Ministero della Salute l’inserimento di queste due apparecchiature.

Ma c’è un ulteriore elemento di preoccupazione: verranno probabilmente disposte riduzioni delle temperature massime nelle abitazioni, riduzione delle fasce orarie di accensione del riscaldamento e possibili interruzioni programmate dell’energia elettrica: tutto ciò non è compatibile con le condizioni in cui vive una persona con SLA. Le famiglie si troveranno costrette ad accendere stufe elettriche o pompe di calore per mantenere una temperatura adeguata, alimentate naturalmente ad energia elettrica: si innesta così un circolo vizioso.

Le parole di Michele La Pusata, vicepresidente nazionale AISLA

Il carovita, dal punto di vista formale, credo sia un problema uguale per tutti i settori della società, a eccezione degli speculatori che traggono ingenti profitti da questa profonda crisi energetica, economica e umanitaria. Tutte le differenze sono depositate nella capacità di risposta alla crisi in atto. 

Nel mio caso particolare, come anche nella stragrande maggioranza delle famiglie al cui interno vi sia un malato affetto da SLA, affrontare la situazione di oggi è molto complicato. I miei famigliari possono certamente mutare le abitudini di vita, per esempio nell’uso della lavatrice, in quello di lampade a led, ma, il grosso della bolletta è rappresentato dai consumi legati ai macchinari che mi permettono di continuare a vivere dignitosamente. 

Cosa potrei modificare nella mia vita che non ho ancora modificato? Provo a ragionarci un po’, anche in modo ironico. I due respiratori potrei sostituirli? Certo, utilizzando il pallone ambu h24, ma onestamente non riesco a quantificare il costo della manodopera e il reperimento di tale figura professionale nel mercato del lavoro. Sarebbe un’idea per creare lavoro senza violentare l’ambiente. Riguardo alla pompa che alimenta la mia nutrizione, potrei certamente saltare un pasto dimezzando i costi energetici, oppure anche qui adottare lo stesso metodo di prima. Sugli aspiratori e la macchina della tosse (io la chiamo l’aspirapolvere), non c’è spazio di manovra in quanto sono utilizzati al bisogno. Economizzare sul materasso antidecubito è fuori discussione, in quanto le conseguenze sarebbero le piaghe a volontà. Credo resti la considerazione sul comunicatore oculare, e qui il discorso si fa serio, molto serio. Io potrei accettare la possibilità verosimile di respirare con il pallone ambu, di nutrirmi anche a giorni alterni, ma non potrei mai vivere senza il mio comunicatore, impazzirei e preferirei morire piuttosto. 

Il corpo e la mente sono un binomio inscindibile e la loro relazione con il mondo esterno rappresenta il senso più alto del vivere umano, qui ci troviamo alle profondità delle radici primordiali della libertà inalienabile. In quindici anni di malattia ho sperimentato che la relazione con sé stessi è propedeutica alla piena relazione con il mondo esterno, e questo consente il raggiungimento della piena autorealizzazione della felicità individuale, o meglio ancora, da cristiano cattolico che mi onoro di essere, di raggiungere lo stato di grazia che permette di sperimentare l’eternità. 

Immagino il comunicatore, nella vita di una persona con la sla, come la valvola di sfogo di una pentola a pressione. Senza questa valvola, il corpo, come la pentola, è destinata a una violenta e devastante deflagrazione, con una potenza distruttiva molto simile alla bomba atomica. Concludo, affermando che tutti questi macchinari sono a tutti gli effetti parte integrante del mio corpo, estensioni della mia persona. 

Rinunciare o limitare l’uso di questi organi significherebbe eseguire una vera e propria amputazione. E per noi, che già godiamo dei requisiti vitali minimi e indispensabili per essere dichiarati vivi, è impossibile poter rinunciare a questi ausili, o meglio protesi. Io dico sempre, parafrasando un grande filosofo: un materasso antidecubito sotto di me, un comunicatore sopra di me e la legge dell’amore dentro di me. Come leggiamo noi malati l’acronimo SLA? Semplicemente, Sperare Lottare Amare

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