Disabilità, la legge dice: il familiare che assiste è un prestatore volontario di cura senza tutele sicure
Sono più di un milione gli italiani che si occupano di un loro congiunto disabile, il 40% dei lavoratori. Tutti, tranne poche eccezioni, potremmo diventare caregiver, cioè una persona che assiste senza alcun compenso un proprio caro non autonomo. Nel testo unificato presentato al Senato spariscono diritti economici e sociali e si restringe l’area di applicazione della legge 104
di STEFANIA MARTANI
ROMA – Sono più di un milione gli italiani che si occupano di un loro familiare disabile, il 40% dei lavoratori. Tutti, tranne poche eccezioni, potremmo diventare – per l’invecchiamento della popolazione – potenziali caregiver, parola mutuata dall’inglese che sintetizza un concetto semplice e indica un una persona che assiste – senza alcun compenso – un proprio congiunto (un familiare, un amico) non in grado di essere autonomo nella vita quotidiana, a causa dell’età, oppure per una qualsiasi disabilità o malattia.
Tanto rumore per nulla. E’ un problema che da anni chiede soluzioni e ora non convince affatto il testo unificato presentato nei giorni scorsi al Senato: individuazione e riconoscimento solo formale della figura dei prestatori di cura, mentre spariscono diritti economici e sociali e si restringe l’area di applicazione della legge 104. Un testo gattopardiano, che gioca con termini e definizioni ma lascia intatta la sostanza. Che è quella della condizione di parenti, affini, conviventi di disabili gravi e non autosufficienti, fatta di notti senza sonno, perdita di professionalità, isolamento sociale, impossibilità di godere di una ‘vacanza’ dal compito continuo e spossante di assistere chi si ama, usura del reddito. Senza vedersi garantita alcuna tutela in termini di copertura assicurativa e previdenziale. Questo, nonostante dati scientifici provino che chi si sottopone a questo tipo di stress, in concomitanza con un’occupazione lavorativa, rischi di vivere molti anni di meno rispetto al resto della popolazione, dai 9 ai 17. (2009, Elizabeth Blackburn Premio Nobel per la Medicina).
Il testo sembra una vera beffa. Il testo unificato depositato in questi giorni al Senato risulta, rispetto alle attese e alle promesse, agli occhi di familiari e associazioni, una vera e propria beffa. In altri Paesi europeri la situazione è assai diversa, ai caregiver sono garantite alcune forme di tutela:
– in Germania, ad esempio, il sistema sanitario-assicurativo dà diritto a contributi previdenziali, se l’assistenza supera le 14 ore alla settimana, e a una sostituzione domiciliare in caso di malattia;
– forme di assicurazione contro gli infortuni e di previdenza sono concesse ai caregiver in Francia, che in diversi casi hanno diritto pure a un’indennità giornaliera;
– così come a quelli in Spagna, che continuano a recepire contributi anche in caso di interruzione del proprio lavoro.
– persino la Grecia dà diritto, al caregiver familiare, al prepensionamento dopo 25 anni di contributi versati.
Le solite misure residuali. Nel testo depositato a Palazzo Madama, non si fa cenno a misure che salvaguardino la salute del caregiver, non si parla del suo diritto a una vita di relazione o a realizzarsi pienamente nel suo percorso professionale; “il testo proposto non comporta oneri aggiuntivi di finanza pubblica, perché orienta l’attività delle Regioni e delle Province autonome, nell’ambito del riparto costituzionale di competenza tra queste e lo Stato e rimanda alla sessione di bilancio la quantificazione delle risorse che lo Stato destinerà a favore dei prestatori volontari di cura”, come premette il relatore, senatore Giuseppe Pagano, del Gruppo Alternativa Popolare – Centristi per l’Europa – Nunovo Centro Destra. In altre parole: diritti economici e sociali “eventuali” sono a carico delle Regioni, sulla base del budget annuale, senza ulteriori incrementi di risorse da destinare a ai caregiver. Insomma, le solite misure residuali e non strutturali, differenziate a seconda del territorio, che si erogano dopo aver provveduto a tutto il resto, comprese le prebende di Stato e stanziamenti per più o meno evanescenti fondazioni.
Cosa prevedono i 4 articoli del testo. Nato dalla sintesi e dalla semplificazione delle tre proposte che da gennaio 2017 giacevano in Commissione Lavoro al Senato, 2266 (Angioni), 2218 (Bignami) e ddl 2048 (De Pietro).
– All’articolo 1 la legge riconosce l’attività di cura non professionale e gratuita prestata nei confronti di persone che necessitano di assistenza a lungo nel contesto di relazioni affettive e familiari, il valore sociale ed economico connesso ai rilevanti vantaggi che ne trae l’intera collettività (10 miliardi di euro di risparmio socio-sanitario), la tutela al fine di conciliarla alle esigenze personali di vita sociale e lavorativa”. Scompare quindi ogni riferimento alle carenze dello Stato – a causa dell’assenza o della limitazione di servizi di sostegno pubblici e accessibili alle famiglie, sia in forma diretta che indiretta – e al ruolo di “vicario” che la famiglia è costretta spesso a ricoprire.
Nell’articolo 2 c’è l’elenco dei compiti che Regioni e province autonome si assumono nei confronti dei caregiver familiari: “informazione puntuale ed esauriente”, “opportunità formative al fine di sviluppare maggiore consapevolezza rispetto al ruolo svolto”, “supporto psicologico”, “soluzioni condivise nelle situazioni di emergenza personale o assistenziale segnalate dal caregiver”, “interventi di sollievo, di emergenza o programmati, attraverso l’impiego di personale qualificato anche con sostituzioni temporanee da svolgere presso il suo domicilio”, “supporto di assistenza di base attraverso assistenti familiari o personali”, “supporto di reti solidali a integrazione dei servizi garantiti dalle reti istituzionali”, “gruppi di mutuo soccorso”, “consulenze e contributi per l’adattamento dell’ambiente domestico dell’assistito”, “domiciliarizzazione delle visite specialistiche nei casi di difficoltà di spostamento dell’assistito” ma “compatibilmente con la disponibilità del personale medico e l’organizzazione dei servizi sanitari”.
All’articolo 3 appare la definizione di prestatore volontario di cura Il terzo articolo e si definisce la figura del “Prestatore Volontario di Cura”, ovvero “la persona che gratuitamente si prende cura del coniuge, di una delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso e del convivente di fatto”, o di un familiare o affine entro il secondo grado che necessiti di assistenza globale e continua ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per almeno 54 ore settimanali, ivi inclusi i tempi di attesa e di vigilanza notturni”. Tuttavia, se si ottiene il riconoscimento di Prestatore Volontario di Cura, nessun lavoratore dello stesso nucleo familiare – fatta eccezione per i genitori – può accedere ai benefici dell’articolo 33 della legge 104/1992. Ciò riguarda non solo i permessi, ma anche il divieto di trasferimento di sede di lavoro.
Il “dopo” dolorosissimo per chi resta. In generale, nel testo si pone l’accento sul carattere ‘volontario’ dell’assistenza del caregiver: “Volontario? Siamo volontari perchè ci rifiutiamo di sottostare all’unica alternativa che ci viene offerta, e cioè il ricovero dei nostri cari”, ribadisce la presidente dell’associazione familiari disabili, Maria Simona Bellini. Occorre pensare a garantire l’assistenza ai familiari, fondi per la cura e, se possibile, l’inclusione. Altrimenti i familiari sono condannati a un “dopo” prematuro e dolorosissimo per chi resta. «Noi crediamo che questa legge sia una truffa: basta consultare la legge Emilia Romagna sui caregiver familiari, poi scopiazzata da altre Regioni, per capire dove si sta andando a parare: belle parole di riconoscimento, al massimo corsi per imparare a fare ciò che la maggioranza dei caregiver familiari fa già da 20, 30, 40 anni, gestiti con le poche risorse messe a disposizione a solo vantaggio di Associazioni e Coop, ma tutele e sostegni pari a zero”.
Fonte: Repubblica.it