AISLA: Valorizzare e Sostenere le Donne Caregiver

Nell’ambito della commemorazione globale delle donne, l’8 marzo rappresenta un’occasione indispensabile per mettere in risalto l’assistenza preziosa offerta dalle caregiver, concentrandoci in particolare su quelle che si prendono cura di persone affette da patologie rare, come la Sla.

Queste donne che rivestono un ruolo essenziale nella gestione e nel sostegno ai loro cari, dedicando moltissime ore settimanali a terapie, controlli medici e incombenze burocratiche correlati alla malattia. Frequente è il caso in cui debbano trovare un equilibrio tra l’assistenza familiare e gli impegni lavorativi, intraprendendo una vita che può rivelarsi ardua e pesante.

Da una recente analisi emerge che il 65% delle caregiver persiste nel proprio lavoro nonostante l’onere dell’assistenza, e la metà di queste svolge un’attività professionale a tempo pieno. Spesso queste donne sono obbligate a rinunciare al lavoro, o addirittura a non lavorare per nulla, per rivolgere l’intera attenzione ai familiari malati.

Nonostante alcune tendenze positive, il panorama lavorativo italiano resta ancora segnato da un marcato divario di genere. Numerose donne italiane continuano a sobbarcarsi la gran parte delle responsabilità nel prendersi cura dei figli e degli anziani, situazione che spesso le obbliga a lasciare o ridurre la propria presenza lavorativa, optando per esempio per un orario part-time, un periodo di congedo parentale o un’aspettativa. Secondo i dati Istat più recenti sulla presenza lavorativa femminile, le donne occupate rappresentano il 49,4% contro il 62,3% degli uomini. Inoltre, le donne continuano ad essere maggiormente rappresentate in lavori a tempo parziale e con retribuzioni inferiori rispetto agli uomini.

Sono in corso di studio diverse iniziative per incoraggiare l’occupazione delle donne e spingere per l’uguaglianza nel campo professionale tra individui di entrambi i sessi. Il Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), ad esempio, prevede un finanziamento in strategie che favoriscono l’equilibrio tra carriera e vita personale.

La questione non riguarda solo l’ambito lavorativo, l’insufficienza di tempo e la sopravvenienza di obblighi estenuanti possono provocare un’eccessiva pressione e una conseguente riduzione del benessere psico-fisico nelle donne caregiver. Assistere il proprio caro e, nel contempo, vedere venire meno la propria autonomia può portare un profondo dolore interiore. Le donne caregiver si trovano spesso, e quasi inconsapevolmente, ad affrontare una battaglia d’amore e dove sarebbe fondamentale che si ricordassero che dovrebbero prendersi cura di se stesse, così come fanno con i loro familiari.

Una condizione che impatta sulle loro vite. Da un’indagine Ipsos per Farmindustria condotta su 800 donne adulte, emerge che l’82% delle partecipanti afferma di non disporre di nemmeno un’ora al giorno per sé stesse. Questo risulta in rinunce anche per quanto riguarda l’autocura, con metà delle caregiver che non dispone del tempo necessario per effettuare controlli preventivi. Da ciò deriva il rischio che diventino esse stesse bisognose di assistenza. L’elemento finanziario risulta essere un’altra questione fondamentale da prendere in considerazione.

In un contesto in cui il 74% degli affetti da malattie rare beneficia di un assegno di invalidità mensile, soltanto il 56% dei caregiver riceve un supporto economico di accompagnamento. Nonostante ciò, la maggior parte dei caregiver sostiene che tale aiuto non basta a sopperire alle necessità economiche quotidiane. Di conseguenza, l’arrivo a fine mese risulta spesso una sfida, costringendoli talvolta ad indebitarsi per far fronte alle spese correnti.

Mentre queste coraggiose donne si battono strenuamente per riscrivere il proprio destino, molte delle loro priorità vengono sacrificate in modo eclatante. Nonostante il loro ruolo essenziale nel prendersi cura dei propri cari, le donne caregiver rimangono spesso nell’ombra, sottovalutate e ignorate. Se già le donne in generale sono soggette a discriminazione di genere, la situazione si aggrava notevolmente nel caso delle caregiver. Il pregiudizio derivante dalla disabilità della persona che assistono (discriminazione per associazione) e l’assunzione che la loro identità sia inevitabilmente legata a quella dell’assistito rischiano di erodere la loro stessa individualità.

Riconoscere l’importanza e il valore della donna caregiver vuol dire dunque anche migliorare il rapporto con chi viene assistito, che sia un figlio o un altro parente disabile. Infatti, la rinuncia totale della propria identità in funzione della cura può facilmente portare al burnout, con gravi conseguenze per la salute del caregiver e, di conseguenza, per quella di chi assiste.

Queste donne meravigliose non devono più essere considerate invisibili: sono pilastri irrinunciabili non solo all’interno delle loro famiglie, ma per l’intera società. Dovrebbe essere un imperativo comune e non più procrastinabile. Dobbiamo valorizzare la donna caregiver non solo come semplice “assistente”, ma come autentica fonte di ispirazione e guida. Dobbiamo conferire il giusto riconoscimento al loro contributo fondamentale e trovare soluzioni efficaci per alleggerire il loro fardello. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte in questo cambiamento culturale e che celebri e sostenga le donne caregiving, e non solo nel “giorno delle donne”.

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